Capita sovente che i locatori, pur di non perdere l’inquilino, decidano in corso di contratto di
accordargli una riduzione del canone. Quando questo non accade, sono
altrettanto frequenti i casi di morosità e di locazioni finite nelle
aule di tribunale. Ad ogni modo l’elasticità del locatore nel rivedere
le scelte iniziali può giocare un ruolo determinante. Ammesso quindi che
questa elasticità prevalga, e che l’inquilino onori l’impegno sino in
fondo, il passo successivo è domandarsi quali regole debbono applicarsi
per rendere operativa la scelta di abbassare il canone.
A tal proposito
l’Agenzia delle Entrate, nella Risoluzione 60/E del giugno 2010, ha
fatto sapere che l’accordo fra locatore e inquilino ai fini della
riduzione del canone d’affitto non rientra fra i cosiddetti “eventi
successivi” alla stipula del contratto per cui vi è l’obbligo di
registrazione. Tuttavia la registrazione, anche se non espressamente
prevista dagli obblighi di legge, finirebbe comunque con l’avere una
valenza probatoria inattaccabile, soprattutto ai fini della minore
imposta sul reddito che il locatore andrebbe a pagare.
Ricorda l’Agenzia che ai sensi degli articoli 3 e 17 del TUR (Testo
unico sull’imposta di registro) sono riconosciuti quali “eventi
successivi” alla stipula del contratto, e come tali soggetti all’obbligo
di registrazione entro 30 giorni dal loro verificarsi, le cessioni, le
risoluzioni e le proroghe contrattuali. Si legge dunque nella
risoluzione che “a parere della scrivente (cioè dell’Agenzia,
ndr)
l’accordo di riduzione del canone inizialmente pattuito non sembra
riconducibile alle ipotesi, contemplate nei predetti articoli 3 e 17 del
TUR, di cessione, risoluzione e proroga, anche tacita, del contratto.
Non si ravvisa, in particolare, nell’accordo di riduzione del canone una
ipotesi di risoluzione dell’originario rapporto contrattuale; secondo
il consolidato orientamento della Cassazione, infatti, le sole
variazioni del canone non sono di per sé indice di una novazione di un
rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della
correlativa obbligazione”. In altri termini, sostiene l’Agenzia,
l’accordo per ridurre il canone non implica né il subentro di un nuovo
inquilino (o di un nuovo locatore), né l’allungamento della durata del
contratto; non è insomma accostabile né a una cessione né a una proroga,
e tantomeno è accostabile a una risoluzione, perché la risoluzione
implicherebbe la fine dell’originario impegno contrattuale, mentre nel
caso di un abbassamento del canone cambierebbero solo i parametri di
quell’impegno, che comunque resterebbe valido.
Oltretutto, guardando all’articolo 19 del TUR, “secondo cui – scrive
l’AdE – è fatto obbligo alle parti contraenti di denunciare, entro venti
giorni dal loro verificarsi, gli eventi che diano luogo ad un’ulteriore
liquidazione di imposta”, l’accordo di riduzione del canone non rientra
nemmeno in questa fattispecie. Quando si parla infatti di “ulteriore
liquidazione di imposta”, ci si riferisce al versamento di una maggiore
imposta sul reddito che deriva appunto dalla maggiorazione del canone
annuo, mentre una riduzione va chiaramente in senso opposto. Quindi, se
da una parte la legge non prevede l’obbligo di registrare l’abbassamento
del canone, dall’altra quest’obbligo sussiste eccome nel caso di un suo
innalzamento.
Tuttavia, conclude l’Agenzia, determinando l’abbassamento
del canone una diminuzione della base imponibile non solo ai fini
dell’imposta di registro ma anche dell’imposta sul reddito, la sua
registrazione “può rispondere ad esigenze probatorie”. Ai sensi infatti
dell’articolo 8 del TUR, anche in assenza di un obbligo di legge,
“chiunque vi abbia interesse può richiedere in qualsiasi momento,
pagando la relativa imposta, la registrazione di una atto”. Questo per
dire che la facoltà di registrare – volontariamente – il nuovo accordo
di riduzione del canone, consentirà al locatore di informarne l’Agenzia
dimostrando il conseguente diritto a pagare una minore imposta.
Luca Napolitano
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